La protesta che si alza in coro alla fine degli anni ’60 è così forte da risuonare nell’aria attraverso la musica: tra quei giovani ci sono ragazzi che imbracciano le chitarre, si vestono come “figli dei fiori” e iniziano a comporre le loro canzoni attingendo dai temi di attualità.
Così assistiamo alla nascita della musica popolare (che poi chiameremo “pop”, a volte anche in senso dispregiativo), all’ascesa del blues che si avvicina sempre più alle masse sino a mutare pelle, a farsi canzone di protesta, rock’n’roll, Elvis Presley, Jimi Hendrix.
Il rock diventa pop
Dagli anni ’80 in poi il rock ha perso la sua energia vitale perché la cultura dalla quale era nato ha cominciato a muoversi in un’altra direzione. L’avvento di una società sempre più dominata dai media – la televisione in primis – e da una sorta di restaurazione dell’ordine prestabilito, compiuta da personaggi come Ronald Reagan alla presidenza degli USA, cambiano i giovani e con essi le loro esigenze.
Gli hippie sono invecchiati, le nuove voci cantano senza impegno politico: così il rock si trasforma in pop, mentre la protesta si fa disagio interiore che sfocia anche in atteggiamenti nichilistici, che verranno incarnati dalla tormentata figura di Kurt Cobain.